CRITICA D'ARTE · 12. July 2024
VISIONI DI NICOLETTA TAMARIN
Nata e cresciuta in Messico ove ha svolto la professione di architetto fino al 2006, Chelita Zuckermann si avvicina gradualmente all'arte e, in specifico alla pittura. Scopre poi nell'originale linguaggio scultoreo da lei lungamente pensato e ideato in cui il metallo e acciaio sono indiscussi protagonisti, la vera possibilità per coniugare la sua originaria formazione con la prepotente, vulcanica creatività di cui è, da sempre, dotata.
Affascinata sin da giovane dalla lussureggiante natura della erra d'origine della Zuckermann offre quindi a piante e animali, spesso insetti, la possibilità di una rinascita con dimensioni, colori e sostanza diversi dall'originaria natura e, anticipando forse profeticamente le recenti elaborazioni della zootecnia robotica, le consegna, icone di un prossimo futuro, all'immaginario collettivo. Frutto di un puntuale studio biologico, di un'accurata progettazione tecnica e di un altrettanto precisa realizzazione in scala con alluminio, acciaio Inox e acciaio Corten, le sue creature scintillanti e luminose, collocate già in molti musei, dominano lo spazio e la nostra fantasia.
Nicoletta Tamarin
E' tutt'altro che casuale, nella mia pratica di interprete dell'arte contemporanea, rivedere le mie convinzioni rispetto ai contesti espressivi che esulano dalla tradizione.
Nel dizionario dei termini d'uso dell'odierna critica d'arte - dove prevalgono i dettati e le intenzioni
dell'Arte Concettuale - sono venute quasi del tutto a mancare parole come emozione, armonia, messaggio, espressione, che invece rimangono per me ancora
significative.
Per spiegarmi meglio voglio qui esemplificare con gli artisti di ambito Concettuale, i quali operano attraverso
sfaccettature che non hanno come soggetto l'Arte, ma la filosofia, fornendo prodotti dalla struttura estetica variegata, come i severi protagonisti dell'Arte Povera. Essi
solitamente usufruiscono di materiali poveri quanto inusuali come le pietre di torrente legni di alberi, o lastre di ferro arrugginito. Nasce così un ribaltamento tra
forme, materiali e concetti, tramite sperimentazioni estetiche. In questo contesto vengono banditi i canoni estetici di riferimento del passato.
In questo senso sono portato a considerare i lavori di Chelita Zuckermann congeniali a una collocazione in ambito
Concettuale, sia dal punto di vista del costrutto compositivo che per la tipologia del materiale con il quale l'autrice esegue la sua sperimentazione. In apparenza il suo
modo di procedere si adice alla formula professionale dell'artigiano, abile e sapiente nel tagliare, in questo contesto, la lamina di alluminio, tradizionalmente di uso
industriale; con grande talento valorizza la materia, malleabile nel taglio, in forme idonee a una figurazione plastica, idealmente immaginata come assemblaggio di singoli
pezzi, e nata dall'intuizione e dall'emozione creativa.
Ma il suo modo di procedere si differenza e si evolve rispetto a quello degli operatori estetici dell'Arte Povera, poiché si avvale della forza della Poesia che si fa
immediata e tangibile essenza.
Chelita Zuckermann è artista visionaria, messaggera di emozioni e di armonia spirituale. Il suo soggetto principe è il territorio della Natura, dove si innalza verso il
cielo una farfalla, le cui ali in alluminio specchiante nei colori dell'oro e dell'argento seducono con le coincidenze dei riverberi della luce. Mi sono ignote altre
composizioni di simile qualità e fattura, ossia di un costrutto fattualmente pesante ma, alla vista, di diafana leggerezza, e mi stupiscono le composizioni floreali di una
disarmante, quanto apparente, semplicità esecutiva.
L'alluminio è dunque qui un meditato strumento espressivo atto a riflettere la magnificenza cromatica di madre natura; magico specchio che rivela sinfonie di forme e di colori; messaggero gioioso della presenza del vento e delle piante quando, all'aperto, ne coglie il moto leggero, e infine, sotto la luce artificiale, testimone del silenzio metafisico della notte e narratore delle stagioni della vita sule ali di una farfalla.
Paolo Levi